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Da ECIC le prospettive di una “pubblica teologia”, per essere “Chiesa pubblica” nell’era digitale

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26 Settembre 2023
Da ECIC le prospettive di una “pubblica teologia”, per essere “Chiesa pubblica” nell’era digitale

Da qualche decennio lo spazio pubblico si è esteso al digitale. E una realtà pubblica e aperta al pubblico, come la Chiesa – e le diverse Chiese cristiane in Europa – osserva e affronta con interesse queste trasformazioni.

A Colonia, in Germania, la XXVII edizione de “The European Christian Internet Conference” (ECIC) dal tema “Embracing the Digital Age: The Intersection of Theology and Technology in Today’s Church” – con la partecipazione di una rappresentanza dell’Associazione dei WebCattolici Italiani (WECA) – si è aperta il 26 settembre 2023 con un interessante approfondimento sulla dimensione pubblica della Chiesa grazie alla prof.ssa Frederike van Oorschot dell’Università di Heidelberg dal titolo “Being a Public Church in the Digital Age: Perspectives from Public Theology”, ovvero “Essere una Chiesa pubblica nell’era digitale: prospettive da una teologia pubblica”.

La definizione di teologia pubblica in campo protestante con Martin Marty cercava, negli anni ’70, di affrontare questioni socialmente rilevanti dal punto di vista della fede. Questa dimensione pubblica si estende per la Chiesa in mezzo al pubblico (come forma di rappresentanza su alcune tematiche, nell’insegnamento sociale, nel coinvolgimento nella res publica), ma anche per la Chiesa come pubblico, inteso come spazio interno dove apprendere l’etica, come insieme di credenze e di insegnamenti e come struttura ecclesiale. Van Oorschot ha poi ricordato come i nuovi media abbiano creato nuovi spazi con la tecnologia, spazi che si intersecano con gli spazi fisici tradizionali. A differenza però degli spazi “analogici”, gli spazi digitali risentono fortemente delle logiche che li governano dal punto di vista tecnico, economico, e sociale.

La tecnica, prima di tutto, basata su algoritmi che rivoluzionano il concetto di “pubblico”. Il pubblico a cui ci si rivolge e quello in cui ci si immerge è una creazione degli algoritmi, uno scenario fortemente personalizzato sull’individuo, sui dati e sulle scelte degli architetti delle reti. Non è importante tenerne conto solo per proteggersi da fenomeni come le camere dell’eco o la polarizzazione online, ma anche dalla profonda connessione tra i contenuti visti e diffusi e la propria identità: “Sono quello che ‘mi piace’ sui social media”.

Essere una “Chiesa pubblica” nell’era digitale significa, dunque, risolvere il dilemma su quale possa essere una “teologia pubblica” se i pubblici sono formati dai social e cambiano continuamente. Per la prof.ssa van Oorschot, la soluzione è semplice: basta trasformare la parola “pubblico”, da sostantivo e da aggettivo ad avverbio. La Chiesa è pubblica perché agisce pubblicamente, tende alla sfera sociale. La “teologia pubblica”, quindi, è in primo luogo testimonianza e identità. Il contenuto, qualunque contenuto, dalle preghiere in diretta streaming fino alla presenza sui social media, non può essere separato dall’identità.  E se la testimonianza di tutti è decisiva, la “teologia pubblica” può essere compresa come una pratica collaborativa di costruzione di identità decentralizzata.

Essere Chiesa pubblica nell’era del digitale, insomma, presuppone la nascita di una “citizen theology”, analoga al “citizen journalism”. Come il citizen journalism contempla la documentazione della realtà con un approccio collaborativo e partecipativo, così la “citizen theology” intende sfruttare le trasformazioni dell’era digitale per rendere la Chiesa ancora più pubblica e aperta, nella piena consapevolezza delle strutture, delle possibilità e delle trappole dei media digitali e del loro impiego in un contesto ecclesiale per una testimonianza diffusa.

Andrea Canton

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