La Seconda sessione della XVI Assemblea generale del Sinodo dei vescovi
La relazione del cardinale relatore generale Jean-Claude Hollerich
Di seguito la relazione del cardinale gesuita Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Luxemborug e relatore generale del Sinodo.
Buon pomeriggio. Mi sembra giusto cominciare con un cordiale “Benvenuti” a quanti — non sono molti — ci hanno raggiunto alla Seconda sessione senza aver partecipato alla Prima. Spero che vi siate sentiti accolti. Ma proseguo subito con un “Bentornati” altrettanto cordiale, rivolto a tutti coloro che sono qui per la seconda volta. È stato bello ritrovarci, è un segno che davvero tra di noi sono cresciute la familiarità e l’amicizia, e che l’anno trascorso non le ha cancellate.
Rieccoci dunque qui: i volti di chi è intorno a ciascuno di noi sono noti, l’aula è la stessa, e così i tavoli. Per quanto mi riguarda, persino il posto è lo stesso dello scorso anno. Anche se alcuni tavoli sono stati spostati, credo di non essere l’unico in questa situazione. Questo ci aiuta a sentirci a casa, ma forse non a renderci conto di una cosa molto importante. La Seconda Sessione non è una ripetizione e nemmeno una semplice prosecuzione della Prima, rispetto alla quale siamo chiamati a fare un passo in avanti. È questo che il Popolo di Dio si aspetta da questa Assemblea sinodale.
Così, ho pensato che in questo momento può esserci utile riflettere su che cosa è diverso tra la Prima e la Seconda Sessione, in modo da sintonizzarci meglio con il nostro nuovo compito.
L’obiettivo della Seconda sessione
La prima differenza, la principale, è quella dello scopo delle due Sessioni, che definisce anche l’indole del nostro stare insieme e dei nostri scambi. L’obiettivo della Prima Sessione era permetterci di conoscerci a vicenda, ma soprattutto di consentire a ciascuno di acquisire una conoscenza migliore delle Chiese da cui provengono gli altri, della loro situazione, del modo in cui vivono la missione, delle priorità della loro azione, delle loro preoccupazioni e dei loro interrogativi a riguardo della sinodalità. Con una immagine, potremmo dire che nella Prima sessione eravamo chiamati a guardare gli uni attraverso gli occhi degli altri. Si è trattato di un percorso affascinante, talvolta faticoso, che ha fatto emergere le tante differenze di cui la Chiesa è portatrice — di lingua, di cultura, di tradizioni, di genere, di condizione — e ci ha condotti a riconoscerle come una ricchezza e un dono di Dio. Come afferma l’Instrumentum laboris per la Seconda sessione, «L’esperienza del pluralismo delle culture e della fecondità dell’incontro e del dialogo tra di loro, è condizione di vita della Chiesa, non una minaccia alla sua cattolicità» (IL 2, n. 81).
A partire da quella esperienza e pieni di stupore e gratitudine per la ricchezza che lo Spirito dona alla Chiesa, in questa Seconda sessione siamo invece chiamati a focalizzare il nostro sguardo, o meglio a discernere insieme verso dove rivolgerlo, indicando possibili traiettorie di crescita lungo cui invitare le Chiese a camminare. Lo scopo è che quelle ricchezze non restino chiuse in un forziere, ma entrino nel circuito dello scambio di doni che nutre la comunione della Chiesa nel suo insieme. A questo ci invita la domanda guida per questa Seconda sessione: «Come essere Chiesa sinodale missionaria?» su cui sono state consultate tutte le Chiese del mondo.
L’Instrumentum laboris per la Seconda sessione, su cui si basa il nostro lavoro nelle prossime settimane, ci offre un “distillato” di quello che come Chiesa abbiamo appreso lungo il cammino di questi tre anni. Significativamente, il suo titolo ripropone la domanda guida della Seconda sessione — «Come essere Chiesa sinodale missionaria» —, ma lasciando cadere il punto interrogativo. Questo indica esattamente il passo che insieme dobbiamo compiere come Assemblea.
L’«Instrumentum laboris» per la Seconda sessione
Arriviamo così alla seconda importante differenza. Quando avete ricevuto l’Instrumentum laboris per la Seconda sessione, vi sarete resi conto al primo sguardo di quanto sia diverso da quello preparato per la Prima. Lo strumento di lavoro è diverso perché diverso è il nostro compito.
L’Instrumentum laboris per la Prima sessione era una raccolta di domande, in particolare nelle Schede di lavoro. Ci invitava a interrogarci e soprattutto a raccontare: le risposte a quelle domande erano soprattutto il racconto dell’esperienza delle nostre Chiese. Ben diverso è l’Instrumentum laboris per la Seconda sessione, in cui il punto interrogativo compare una decina di volte, contro le oltre 300 del precedente — mi sono preso la briga di contarle. Mi sembra un buon indicatore del passo in avanti che la Seconda sessione è chiamata a compiere e un chiaro invito a focalizzare tutta la nostra attenzione in un’unica direzione.
A servizio del nostro sforzo, il testo dell’Instrumentum laboris per la Seconda sessione condensa quelle che possiamo ritenere le principali acquisizioni maturale lungo il processo sinodale rispetto ai temi affrontati. Gli esperti che hanno collaborato alla sua redazione, che desidero qui ringraziare per il loro impegno — molti sono qui presenti in Aula, ma non tutti —, sono partiti dalla Relazione di Sintesi della Prima sessione e dagli esiti della seconda consultazione delle Chiese locali, ma hanno tenuto conto anche dei documenti precedenti. Inoltre, hanno considerato i frutti dell’Incontro internazionale “I parroci per il Sinodo”, a riguardo del quale abbiamo già ascoltato una testimonianza, e i materiali prodotti da cinque Gruppi di lavoro costituiti dalla Segreteria Generale del Sinodo.
Per poter usare bene l’Instrumentum laboris, è necessario mettere a fuoco quale è la sua natura: non è una bozza del Documento finale che richiede semplicemente di essere emendata, ma la raccolta dei risultati di un processo che è nostro compito discernere. Tocca a questa Assemblea indicare dove mettere l’accento o una sottolineatura, perché si tratta di qualcosa di particolarmente importante; tocca a noi anche discutere quello che ha bisogno di essere approfondito e riformulato. Soprattutto tocca a noi indicare la direzione in cui sentiamo che lo Spirito chiede alla Chiesa tutta di procedere, affidando al Santo Padre orientamenti e prospettive per la fase dell’attuazione.
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Foto: Osservatore Romano