Social e Bugie: Dal pettegolezzo alle Fake News – terza parte
di Andrea Tomasi
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I pettegolezzi sono frutto di una dimensione personale e sociale che riguarda la sfera privata. Ma la logica che porta alla diffusione virale in rete – la tendenza delle persone al chiacchiericcio e i meccanismi economici che regolano la rete – viene applicata frequentemente anche alle notizie e alla comunicazione da parte dei media.
Le “fake news”, chiamate in modo colorito “bufale”, trovano nella rete il pascolo giusto per alimentarsi e per diffondersi.
In primo luogo perché le persone amano essere confermate nei propri pregiudizi, e le notizie fasulle servono benissimo a tale scopo; non importa quanto esse siano improbabili, la loro veridicità non dipende dal loro contenuto, ma dalla percezione di chi le riceve. Ciò è talmente vero che le correzioni e le smentite, anche se provengono dalla stessa fonte, sono credute meno della notizia falsa originaria. Per questo vengono usate sempre più spesso come strumento di lotta politica, un ambito nel quale si tende a considerare utile strumento di propaganda e degno di fede tutto ciò che proviene dal proprio campo di appartenenza, specialmente se può danneggiare gli avversari. Anche qui, la verità del contenuto non è messa in discussione.
La rete e la viralità dei social provvedono alla diffusione in maniera incomparabilmente più estesa e rapida dei tradizionali mezzi di comunicazione.
E quanto più il pubblico attinge dalla rete le proprie fonti di informazione tanto più il problema diviene rilevante.
Sul rilievo etico della “buona” comunicazione c’è una consolidata riflessione da parte della Chiesa cattolica. Si possono citare a puro titolo d’esempio i nn. 4993-4999 del Catechismo, e numerose pubblicazioni e convegni del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, dell’ Ufficio Comunicazioni Sociali della C.E.I. e imessaggi del Papa in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Papa Francesco, ricevendo in udienza l’ Associazione Corallo (22 marzo 2014) ebbe a dire: “Per me, i peccati dei media, i più grossi, sono quelli che vanno sulla strada della bugia, della menzogna, e sono tre: la disinformazione, la calunnia e la diffamazione.” E aggiunse: “Queste due ultime sono gravi, ma non tanto pericolose come la prima. Perché? Vi spiego. La disinformazione è dire la metà delle cose, quelle che sono per me più convenienti, e non dire l’altra metà.“ Il giudizio del Papa si può tranquillamente applicare anche alle notizie fasulle.
Le notizie fasulle diffuse in maniera “virale” producono anche effetti economici, tanto che stanno proliferando siti web e pagine facebook che si propongono esplicitamente di confezionare e far circolare notizie fasulle. Il meccanismo è lo stesso già analizzato in precedenza: il numero di contatti corrisponde ad un aumento del prezzo per le inserzioni pubblicitarie e al conseguente incremento del valore azionario del gestore. Sono noti, inoltre, i tentativi di influenzare i possibili clienti con la produzione di recensioni inventate – positive per favorire gli acquisti o negative per scoraggiarli da parte di concorrenti – sulle piattaforme che gestiscono le prenotazioni turistiche o i siti che distribuiscono prodotti commerciali.
Se il “mercato” delle falsità è sostenuto da precise valutazioni economiche, occorre anche osservare che ad esso si contrappone l’interesse del pubblico ad ottenere una informazione corretta e di qualità.
L’economia della comunicazione si fonda sulla fiducia. Quando questa viene meno per un’ eccessiva presenza di falsità che inquinano l’informazione, gli utenti si allontanano.
E anche i motori di ricerca e le piattaforme che raccolgono notizie dalla carta stampata devono mantenere uno standard di correttezza per non interrompere il rapporto con chi fornisce le notizie.
Ma come rendere visibile in rete la correttezza delle notizie? E soprattutto come verificarla? Il problema è talmente avvertito che è stata fissata una giornata, il 2 aprile, per sensibilizzare a livello mondiale sulla necessità di una informazione corretta.
Sta avanzando l’idea di associare alle notizie una qualche “certificazione di qualità”, un bollino di autenticità che non impedisce la pubblicazione, per evitare l’accusa di censura, ma ne segnala l’affidabilità. E ci sono siti che segnalano le “bufale” e controllano le notizie, sia attraverso un approccio cooperativo che coinvolge gli utenti, sia per mezzo di strumenti automatici. Si tratta di un impegno faticoso, perché per produrre notizie false bastano pochi istanti, mentre la verifica richiede in media 13 ore, secondo studi recenti. Ma è un impegno sempre più necessario, dato che i frequentatori dei social tendono a rinchiudersi in cerchie sempre più ristrette, dentro lequali il 90% delle conversazioni è dominato da notizie false.