Intervista ad Andrea Tomasi di Andrea Bernardini, da “Vita Nova” del 26 febbraio 2017
Un ragazzino, nella pausa ricreazione, esce nel cortile della scuola con un panino in mano. Due compagni lo affrontano. Il panino cade per terra. Una scena di ordinario bullismo che in questo caso, ha un seguito: uno dei due compagni riprende la scena con il cellulare e lo “posta” su Facebook. In breve le immagini si diffondono da amico ad amico. A fine giornata migliaia di persone diventeranno ad un tempo spettatori e complici di questo gesto. È uno dei brevi filmati utilizzati dal professor Andrea Tomasi, docente di Sistemi Informativi al dipartimento di Ingegneria dell’ateneo pisano e membro del direttivo di WeCa (Associazione webcattolici italiani), chiamato al liceo artistico “Russoli” di Cascina a tenere due lezioni agli studenti sul tema “bullismo al tempo della Fede e dei social media”.
La diffusione di Internet ha modificato il nostro modo di stare nel mondo, di relazionarci con l’altro. E sta avendo i suoi effetti sul bullismo. «Da sempre, nell’età difficile della crescita – commenta il professor Andrea Tomasi – ragazzi insicuri cercano di affermarsi usando violenza nei confronti di chi percepiscono più debole. Un fenomeno in crescita, che coinvolge circa la metà dei ragazzi tra gli 11 e 17 anni. Adesso alle violenze fisiche presentate nei confronti di questa o quella vittima si aggiungono quelle psicologiche, non meno pesanti, che si diffondono in rete».
LE DINAMICHE DEL CYBERBULLISMO
Il bullo può raggiungere la vittima attraverso il cellulare in ogni momento e in ogni luogo. «La diffusione “virale” di immagini, frasi o filmati – osserva l’esperto – può rendere la persona oggetto di derisione o di riprovazione da parte di tantissimi, con il risultato di far sentire la vittima sotto i riflettori in condizione di estremo disagio. Un peso che può diventare insopportabile».
Il cyberbullo è più o meno consapevole del semplice “bullo”? «Lo è decisamente meno, perché non è a contatto diretto con la vittima e perché si può “nascondere” presentandosi con una identità diversa dalla propria. “Cyberbulli, pettegolezzi in rete”, un film canadese per la TV, racconta la storia di una ‘cyberbulla’ inconsapevole che conduce un’amica esasperazione. Solo dopo comprende la gravità dei suoi comportamenti».
Bisogna arrivare a tanto?
«Purtroppo l’utilizzo della rete in maniera dannosa è considerata una colpa lieve da 8 ragazzi su 10. Il ragionamento dell’adolescente: nessuno ha mosso un dito sul compagno deriso, perché lamentarsi?».
GLI EPISODI “SEXTIES”.
Un ragazzo su dieci “subisce” attraverso il web un furto di identità. E tra queste vittime, sei su dieci, incontrano di persona i loro molestatori. Emblematici i casi di “sexties” «La vittima – racconta il professor Andrea Tomasi – si ritrae priva di vestiti, per mostrare il proprio corpo da chi vuol ottenere ammirazione o coinvolgere nella propria intimità. Una volta ottenuta l’immagine il destinatario iniziale la “gira” ad altri: talvolta per acquisire punti nella considerazione dei compagni, in altri casi perché la richiesta di ‘sexties” era fin dall’inizio malintenzionata.
La moltiplicazione dci contatti in rete espone la vittima al giudizio negativo e produce effetti dirompenti.
Terribilmente esemplare il caso di Tiziana Cantone, di 30 anni, che dopo aver tentato, anche con una causa in tribunale, di far cancellare alcuni suoi video, aveva ricevuto una ingiunzione di pagamento delle spese legali di 18 mila euro, ultima offesa a cui non aveva resistito uccidendosi nel settembre scorso».
Come intervenire?
«Lo scorso 7 febbraio è stata promossa a livello mondiale una giornata di sensibilizzazione sui pericoli della rete. Pericoli avvertiti ma ancora troppo trascurati. Il problema richiede innanzitutto risposte educative, perché la rete prima che essere uno strumento di comunicazione, è un ambiente di relazioni interpersonali. Risposte che dovrebbero dare in primis, i genitori e gli insegnanti».
La legge tutela la vittima dei bulli?
«Le leggi, già esistenti condannano come reati la sostituzione di persona, la maldicenza diffamatoria la diffusione di dati personali, la persecuzione the istiga al suicidio. Tutti reati che in rete si compiono con un click mentre ottenere un risarcimento richiede tempi decisamente più lunghi».
Su cosa dovrebbe finalizzare la sua attenzione il legislatore?
«Dovrebbe chiedersi quale prevenzione sia possibile. Quale sia l’equilibrio accettabile tra libertà di espressione indiscriminata e controllo dei contenuti che circolano in rete istigando all’odio o proponendosi l’umiliazione delle persone. Dovrebbe anche chiedersi se non sia il momento di disporre restrizioni sulla possibilità di registrarsi in rete in forma sostanzialmente anonima o in età sempre più bassa (attualmente si ritiene che l’età di iscrizione nei social network si sia abbassata a 12 anni e mezzo, ben al di sotto di quanto sarebbe ufficialmente consentito)».
“Rete” specchio fedele o distorto delle relazioni quotidiane?
«Viviamo un’epoca di relazioni intessute di insulti, di scontri, di sopraffazioni: non ci dobbiamo meravigliare, dunque, se la rete riflette e amplifica questo modo sbagliato di relazionarsi».
I giovani sono consapevoli del fatto che tutto ciò di cui lasciano traccia nel web è “osservato” da una sorta di “Grande Fratello”?
«Due su tre navigatori di Internet sanno che i dati di navigazione sono registrati da qualche parte. Sanno anche che ciò che viene inviato sulla rete sfugge al controllo e può riapparire in contesti e in tempi assai diversi da quelli originari. Nell’ 80% dei casi ne sono preoccupati, il 72% ritiene non sia sicuro trasmettere foto e video in rete. Ciò nonostante quasi nessuno usa cautela, convinto che sia un prezzo da pagare per ottenere servizi (nel 58% dei casi sono disposti anche a rendere accessibili i propri contatti personali). In questo modo però si crea una mentalità disattenta alla protezione dei propri dati (il 90% non si cura di ciò che ha pubblicato in passato)».