Contenuti innominabili che viaggiavano sugli smartphone di ragazzi tra i 13 e i 19 anni: la recente scoperta di un gruppo su WhatsApp divenuto piazza di scambio di video, foto e testi di ogni genere, grazie all’intraprendenza di una madre che non ha rinunciato alla sua responsabilità educativa entrando nel cellulare del figlio, ha suscitato grande eco mediatica e sociale mostrando che esiste ancora nel Paese una coscienza capace di riconoscere la pericolosità di ciò che, invece, spesso viene tollerato per indifferenza, quieto vivere o semplice, colpevole distrazione. L’episodio è il sintomo di un disagio profondo e diffuso assai più di quel che si pensi, che riguarda direttamente la questione educativa dalla quale la Chiesa si sente coinvolta. Nulla di ciò che entra in questa sfera digitale rendendo problematica la relazione tra adulti e giovani e creando alterazioni nella coscienza dei ragazzi, così come nella loro stessa percezione della realtà, può rimanere estraneo alla comunità ecclesiale, anche solo per il fatto che le nuove generazioni vivono – come i genitori… – in una bolla comunicativa virtuale alimentata da un rapporto di simbiosi con gli smartphone, divenuti compagnia inseparabile della vita dei ragazzi (e non solo). Parrocchie, diocesi e vescovi iniziano a intraprendere proposte formative specifiche: ecco alcune iniziative e voci già sul campo, raccolte nella pagina del Portaparola di martedì 22 ottobre.
Le storie:
Vicenza
Como
Monreale
Acireale
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