Di Luca Miele, fonte: Avvenire
Di fronte alle travolgenti trasformazioni del nostro tempo, il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman coniò la fortunata formula della «società liquida». La nostra, ammoniva lo studioso polacco, è un’epoca di dissolvenze: le strutture sociali, le appartenenze, i confini, tutto è in divenire, fluido, aperto, incerto, informe, instabile, suscettibile di mutamenti. Un’altra (inflazionata) metafora sta, però, affermandosi con prepotenza, soppiantando l’altra, non più liquida, ma “gassosa”. È quella del cloud, concetto cardine dell’economia del digitale. La nuvola (cloud) suggerisce qualcosa di etereo, gassoso appunto, naturale e green. Niente di più falso. La digitalizzazione ha, invece, un volto ambiguo, meduseo. Ne è convinto Fabio Pasqualetti, professore ordinario di Teorie sociali della comunicazione presso l’Università Pontificia Salesiana. «La stragrande maggioranza delle gente – scrive in Ecologia, digitale, spiritualità. Un rapporto complesso e problematico (Castelvecchi, pag. 96, euro 15) – quando pensa a Internet si immagina qualcosa di leggero, che non inquina, l’unico consumo tangibile è la ricarica della batteria del cellulare, ma tutto ciò che si fa con il cellulare non è avvertito né come consumo, né come inquinamento.