Il Santo Padre, concludendo la 50ª Settimana sociale dei cattolici in Italia, ha chiesto ai cattolici il “coraggio” di pensarci come popolo e di partecipare e formarsi alla politica come bene comune e contrasto alla “cultura dello scarto”. Da piazza dell’Unità d’Italia, l’invito a “pregare e operare per la pace”. Ai triestini: “continuate a impegnarvi in prima linea, specialmente per coloro che arrivano dalla rotta balcanica”
(da Trieste) Un forte appello alla partecipazione e alla formazione politica, per risanare una democrazia che ha il cuore ferito. A rivolgerlo al “popolo” dei 1200 delegati che hanno animato in questi giorni la città di Trieste, per la 50ª edizione della Settimana sociale dei cattolici in Italia, è stato Papa Francesco, che nell’omelia della messa in piazza dell’Unità d’Italia si è soffermato sul bisogno dello “scandalo della fede” radicata nel Dio che si è fatto uomo e perciò “una fede umana, inquieta, che diventa una spina nella carne di una società spesso anestetizzata e stordita dal consumismo”.
“Da questa città rinnoviamo il nostro impegno a pregare e operare per la pace: per la martoriata Ucraina, per la Palestina e Israele, per il Sudan, il Myanmar e ogni popolo che soffre per la guerra”,
l’appello durante l’Angelus: “Alimentiamo il sogno di una nuova civiltà fondata sulla pace e sulla fraternità; non scandalizziamoci di Gesù ma, al contrario, indigniamoci per tutte quelle situazioni in cui la vita viene abbruttita, ferita e uccisa; portiamo la profezia del Vangelo nella nostra carne, con le nostre scelte prima ancora che con le parole”. “Continuate a impegnarvi in prima linea per diffondere il Vangelo della speranza, specialmente verso coloro che arrivano dalla rotta balcanica e verso tutti coloro che, nel corpo o nello spirito, hanno bisogno di essere incoraggiati e consolati”, le parole alla chiesa triestina.
“Come cattolici, non possiamo accontentarci di una fede marginale, o privata”,
l’esortazione al centro appello del discorso al Centro dei Congressi: “Ciò significa non tanto pretendere di essere ascoltati, ma soprattutto
avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico”.
“Abbiamo qualcosa da dire, ma non per difendere privilegi”, ha puntualizzato Francesco: “Dobbiamo essere voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce. Tanti non hanno voce, tanti! Questo è l’amore politico, che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause. È una forma di carità che permette alla politica di essere all’altezza delle sue responsabilità e di uscire dalle polarizzazioni, che immiseriscono e non aiutano a capire e affrontare le sfide”. “A questa carità politica è chiamata tutta la comunità cristiana, nella distinzione dei ministeri e dei carismi”, l’indicazione di rotta del Papa:
“Formiamoci a questo amore, per metterlo in circolo in un mondo che è a corto di passione civile. Dobbiamo riprendere la passione civile dei grandi politici che abbiamo conosciuto! Impariamo sempre più e meglio a camminare insieme come popolo di Dio, per essere lievito di partecipazione in mezzo al popolo di cui facciamo parte”.
“Conoscere il popolo, avvicinarsi al popolo”. E’ questo, per Bergoglio, il segreto della buona politica. “Il politico – ha spiegato a braccio – deve essere come un pastore: davanti, in mezzo, dietro al popolo”. Sulla scorta di Giorgio La Pira, Francesco ha invitato il laicato cattolico, con “progetti di buona politica che possono nascere dal basso”, ad “organizzare la speranza”.
“Perché non rilanciare, sostenere e moltiplicare gli sforzi per una formazione sociale e politica che parta dai giovani?”, si è chiesto Francesco: “Perché non condividere la ricchezza dell’insegnamento sociale della Chiesa?”. “Possiamo prevedere luoghi di confronto e di dialogo e favorire sinergie per il bene comune”, la proposta concreta:
“Se il processo sinodale ci ha allenati al discernimento comunitario, l’orizzonte del Giubileo ci veda attivi, pellegrini di speranza, per l’Italia di domani. Il tempo è superiore allo spazio e avviare processi è più saggio di occupare spazi.
Questo è il ruolo della Chiesa: coinvolgere nella speranza, perché senza di essa si amministra il presente ma non si costruisce il futuro”.
Poi la citazione di un poeta triestino, Umberto Saba, per spiegare che “Dio si nasconde negli angoli scuri della vita e delle nostre città, la sua presenza si svela proprio nei volti scavati dalla sofferenza e laddove sembra trionfare il degrado”.
“La democrazia richiede sempre il passaggio dal parteggiare al partecipare, dal fare il tifo al dialogare”,
la ricetta del Papa, e la responsabilità nei confronti delle trasformazioni sociali “è una chiamata rivolta a tutti i cristiani”, perché “uno Stato non è veramente democratico se non è al servizio dell’uomo”, mentre la cultura dello scarto “disegna una città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani. Il potere diventa autoreferenziale, incapace di ascolto e di servizio alle persone”. Di qui l’attualità e l’urgenza della parola chiave della Settimana sociale di Trieste: partecipazione, che nella lettura di Bergoglio “non coincide semplicemente con il voto del popolo, ma esige che si creino le condizioni perché tutti si possano esprimere e possano partecipare. E
la partecipazione non si improvvisa: si impara da ragazzi, da giovani, e va allenata, anche al senso critico rispetto alle tentazioni ideologiche e populistiche”.
Nella vita sociale è “necessario risanare il cuore”, e anche per essere tale la democrazia deve avere “un cuore risanato”, la proposta unita ad un incoraggiamento a partecipare esercitando la creatività nei campi dell’economia, della tecnologia, della politica, della società, dell’integrazione dei migranti. Democrazia è avere il coraggio di “pensarsi come popolo” : “una democrazia dal cuore risanato continua a coltivare sogni per il futuro, mette in gioco, chiama al coinvolgimento personale e comunitario”, l’affresco di Francesco, che ha esortato ancora a braccio a “sognare il futuro”, a “non avere paura”, a non lasciarsi ingannare dalle “soluzioni facili” e dalle ”ideologie seduttrici”: “Appassioniamoci invece al bene comune”.
Foto Siciliani-Gennari/SIR