Il web che noi conosciamo, oggi dominato in Occidente dai giganti economici e in alcune parti del mondo controllato da governi, era nato in realtà come il più grande esperimento di collaborazione e di dialogo della storia. Erano in dialogo le macchine: il server della Casa Bianca aveva lo stesso tipo di indirizzo IP del computer di uno studente collegato dal suo garage.
Erano in dialogo le persone: sui newsgroup e sui forum chiunque poteva confrontarsi su ogni tipo di argomento. In teoria è cambiato poco. Ancora oggi esperienze di intelligenza collaborativa, attraverso Internet, migliorano il nostro mondo: tanti gli esempi che vanno da Twitter a Wikipedia per arrivare all’uso dei big data nella ricerca medica. In pratica, però, oggi pochi giganti, modificando gli algoritmi che regolano le ricerche sul web e ciò che compare nelle bacheche social, possono imprimere grossi cambiamenti a come ci appare la realtà che ci circonda.
Perché la Rete sia autenticamente uno spazio di cammino comune per l’umanità (letteralmente un «processo sinodale»), occorre che non solo vi siano spazi per un dialogo consapevole e trasparente, ma serve trasparenza in particolare nelle regole di gestione della sua architettura comune. E soprattutto, che sorga a livello mondiale un vero dialogo che consideri Internet non come strumento di potere, ma come occasione di costruzione del bene comune.
Andrea Canton
Foto: Pixabay da Pexels
Leggi la pagina WeCa su Avvenire-Lazio Sette di domenica 28 novembre 2021