Di Fabio Bolzetta, da Avvenire di martedì 31 gennaio 2023
«Siamo ciò che comunichiamo». L’esempio di San Francesco di Sales, a quattro secoli di distanza, forgia la figura del buon comunicatore (anche) sui media digitali di oggi. I suoi foglietti come contemporanei post e il suo cammino che si riverserebbe oggi nel navigare nell’oceano del web salpando così sul continente digitale. A partire dalla testimonianza. Eppure, ricorda il Messaggio di quest’anno, «come sperimentiamo in particolare nei social network, la comunicazione viene sovente strumentalizzata affinché il mondo ci veda come noi desidereremmo essere e non per quello che siamo». Lo schermo come uno specchio fiabesco che si trasforma e ci trasforma riflettendo l’immagine che vogliamo mostrare di noi. I luccichii dell’apparenza e gli abbagli della soddisfazione per la conquista dei like. Fino a quando il dolore, non più intimo, arriva ad essere strumentalizzato.
Il peso dei like e dei follower come le nuove categorie della caratura giornalistica? I più seguiti, dunque, possono essere giudicati come più bravi? Risultato di una aritmetica imperfetta in una società liquida. Ma, tornando al tema, come si può «parlare col cuore»? Anzitutto, lungo la continuità dei Messaggi, nella promozione della presenza e dell’incontro attraverso le direttrici dell’ascolto. Il cuore è un organo che pulsa da sé ma che ha bisogno di essere allenato. Si profilano vecchi e nuovi esercizi nella palestra quotidiana della professione giornalistica a contatto col digitale: puntare verso il traguardo della Verità, superare gli ostacoli delle polarizzazioni, affrontare le fake news e sgonfiare le echo chambers e le filter bubble. In un incontro che è, anzitutto, relazione. Testa e cuore, non solo l’uno né tantomeno solo l’altro. E a partire dai valori che ci guidano, dalle nostre scelte e dai nostri comportamenti. Perché «siamo ciò che comunichiamo». E comunichiamo ciò che siamo.