Sono le foto dei gattini buffi che da vent’anni girano in rete. Sono le “faccine” disegnate male che si rincorrono in mille vignette umoristiche su Facebook e su Whatsapp. Sono le battute o i modi di dire tutti uguali che si ripetono sul web per periodi brevi o lunghi di tempo. Sono le notizie di attualità che come dei buchi neri distorcono e modificano al loro passaggio il campo gravitazionale della realtà che li circonda.
Sono i “meme” di Internet. E sono ovunque.
Ma che cos’è un meme? Per il dizionario Merriam-Webster è “un’idea, un comportamento, uno stile che si diffonde da una persona all’altra all’interno di una cultura”, ma anche “un immagine, un video, etc… divertente e interessante che si diffonde attraverso Internet”.
La parola meme, derivata dal greco mīmēma, “imitazione”, è stata coniata dal biologo evoluzionista Richard Dawkins nel libro del 1976 “Il gene egoista”. In sostanza, per Dawkins, proprio come i geni delle nostre cellule competono tra di loro per replicarsi e diffondersi, così le idee e i pensieri competerebbero tra di loro all’interno di una cultura per diffondersi, riprodursi, modificarsi ed evolversi, sempre secondo la logica darwiniana della selezione della specie.
Molti semiologi, esperti di comunicazione, filosofi e linguisti hanno acceso i riflettori sui limiti – anche evidenti – di questa teoria, tacciata di riduzionismo eccessivo, addirittura di essere un “dogma pseudoscientifico” di stampo materialista incapace di spiegare la complessità della mente umana e della cultura.
Eppure, con l’avvento di Internet, il concetto di “meme” ha conosciuto una nuova giovinezza. A proporre l’applicazione della teoria dei “meme” al web fu Mike Godwin su Wired nel giugno 1993.
Su Internet i meme diventano singole frasi concrete, o, assai più spesso, immagini e video, in grado di essere diffusi in milioni di bacheche, profili social e chat in pochi istanti, diventando così “virali”.
Su Internet, poi, siamo tutti autori. Basta poco per rilanciare un contenuto, aggiungendoci un commento o effettuando una modifica.
Soprattutto, grazie al web, possiamo studiare nel dettaglio l’origine, la trasformazione, la diffusione e la parabola di ciascun meme. Ci aiuta in questo un sito come knowyourmeme.com, che classifica origini e varianti di questi fenomeni fin dagli albori della rete.
È impossibile una tassonomia per classificare tutti i meme. Generalizzando un po’, possiamo proporre due macro-famiglie. La prima è quella degli eventi iconici che diventano parte dell’immaginario comune: esempi sono la testata di Zidane ai mondiali del 2006 o la trattenuta di Chiellini agli europei del 2021. Questi meme di solito generano molte parodie ma hanno vita più breve.
La seconda famiglia invece contiene espressioni, immagini o riferimenti di nicchia alla cultura popolare che però il web finisce per trasformare in vere e proprie frasi idiomatiche, in grado insomma di rappresentare sinteticamente dei concetti anche complessi. È il caso delle emoticon, diffuse a partire dagli anni ’80 nelle prime e-mail, è il caso delle “rage face” di un decennio fa che in un certo modo ne sono l’evoluzione, è il caso di foto casuali diventate celebri come “Bad Luck Brian” – diventato il volto della sfortuna, “Hide the pain Harold” – trasformato nel simbolo della sofferenza, il “Doge”, uno shiba inu che ha dato persino l’origine a una famosa criptovaluta.
I meme sono importanti perché non si limitano ad essere un passatempo divertente o un modo “moderno” di commentare notizie e avvenimenti, ma hanno un impatto enorme nel nostro linguaggio. Sono diventati in tutto e per tutto un linguaggio, del quale si sa ancora troppo poco. Ma il linguaggio non è mai neutro.
I meme sono infatti nati in quel pulviscolo di libertà della rete delle origini, ma presto sono diventati anche uno strumento impiegato nel marketing e anche nella propaganda politica, utilizzati in modo massiccio – e anche controverso – in molte campagne elettorali. Alcuni meme, come l’apparentemente innocente rana “Pepe”, sono stati banditi in molti paesi in quanto collegati a propaganda d’odio.
È importante dunque essere consapevoli dei significati – anche nascosti – dei meme nei quali ci imbattiamo: utilizzare un meme può essere utile, ma non conoscere tutti i risvolti della sottocultura nella quale è stato generato può farci incombere in gaffe o incidenti diplomatici anche di una certa gravità.