Lo diciamo subito: la viralità sui social è un fenomeno misterioso.
Ci sono creazioni, post e argomenti, coreografie o canzoni che non funzionano, in nessun modo, nemmeno con strategie di marketing e sponsorizzazioni; altri contenuti invece riescono a ottenerla senza averla cercata.
Da un video fatto per caso, per divertimento o per scherzo, si può diventare fenomeni planetari in grado di coinvolgere un numero mondiale di utenti.
Nonostante la voglia di rimuovere un contenuto con poche interazioni sia sempre molto forte, Instagram, YouTube e TikTok possono decidere di spingere un determinato video anche molto tempo dopo la sua pubblicazione: il Reel quindi, potrebbe diventare virale anche in un secondo momento, per ragioni dettate dall’algoritmo, dalle parole chiave o argomento utilizzato diventato “trend” soltanto dopo o semplicemente perché scoperto casualmente da qualche utente e rilanciato in qualche comunità.
Ci sono dei fenomeni che ci fanno capire quanto può essere travolgente un trend creato dagli utenti.
“Povero Gabbiano” il brano neomelodico dal cantante catanese Gianni Celeste, diventato virale dopo 34 anni, associato a diversi video che rappresentano situazione tragi-comiche dovute al senso dell’abbandono e alla sfortuna, su Spotify è riuscito a rientrare nella classifica dei 50 pezzi più virali in Italia.
“Bloody Mary“ di Lady Gaga, famosa per la serie Netflix “Wednesday” (“Mercoledì”) di Tim Burton – attenzione – senza che questo brano sia mai stato utilizzato nella serie bensì sostituito al brano originale “Goo Goo Muck” dei The Cramps, da un utente TikTok che ha avuto l’idea di riproporre il video del balletto di Mercoledì sostituendo il pezzo originale proprio con “Bloody Mary” – per di più a velocità accelerata in modo che andasse a tempo con i passi – cambiando di conseguenza la tonalità della voce della cantante. E così, video dopo video, condivisione dopo condivisione, la canzone è diventata virale su tutte le principali piattaforme facendo balzi in classifica.
Nell’immaginario comune, il video (o qualunque altro contenuto social) virale è una idea talmente bella, talmente affascinante, interessante, divertente, discusso, ma anche odiato, si irride, si invidia. In un modo o nell’altro viene condiviso, in modo selvaggio e irrazionale.
Il termine “virale” non è preso a caso e rivela a tutti l’esatta natura di questi contenuti e perché sia necessario pensarci due volte prima di volerne creare uno.
Come un virus molto – anche dopo un certo periodo apparentemente dormiente – sfrutta gli organismi per proliferare, una valanga inarrestabile, impossibile da fermare… e poi, tutto ad un tratto, il virus muore, non ne parla più nessuno e viene sostituito da un altro.
Il web è pieno zeppo di video: cosa dovrebbe avere un video per emergere dall’anonimato?
Un video, per quanto geniale possa essere, ha bisogno di un propulsore che può essere:
– voluto (influire sulle tendenze);
– solo in parte voluto (comunità partecipative);
– inaspettato;
Nel marketing vengono chiamati gli influencers per provare a svolgere questo compito, ovvero coloro che hanno la possibilità di influenzare una grande massa di followers. Tuttavia va considerato che i video, devono avere un DNA predisposto alla condivisione, ma anche alla modificazione genetica.
“Sorprendente e divertente” sono le parole chiavi, specialmente la prima: il video deve avere un punto di vista inaspettato, qualcosa che sorprenda e faccia venire voglia di esclamare: “Ehi, hai visto questo video su YouTube”? e di ricondividerlo – magari taggando qualche altro utente.
Non esiste un numero fisso di visualizzazioni per considerare un Reel, uno Short o un TikTok “virale”, però in media se consideriamo un video targhetizzato per gli utenti italiani, già un numero considerevole di 100k>500k visual può considerarsi virale.
Sul “Come si fa un reel fatto bene?” vi rimandiamo al tutorial del 22 febbraio 2023 con tanti piccoli suggerimenti tecnici e organizzativi.
Testi: Giampiero Neri