Adriano Fabris (Università di Pisa) al quinto incontro del percorso “Comunicazione e Misericordia”: “La comunicazione buona ed etica è quella che lascia la porta aperta”
Nel suo messaggio per la 50ma Giornata Mondiale per le Comunicazioni sociali ormai prossima Papa Francesco, pur esplicitando come per lui “e-mail, sms, reti sociali, chat possono essere forme di comunicazione pienamente umane” invita con forza a “uscire dai circoli viziosi delle condanne e nelle vendette”. Ma come è possibile ciò?
In occasione della quinta diretta web del percorso “Comunicazione e Misericordia”, promosso dall’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della CEI e dall’Associazione WebCattolici Italiani, Adriano Fabris dell’Università di Pisa ha provato a individuare alcune piste per un’etica della comunicazione nel continente digitale.
«Quando ci domandiamo se comunichiamo bene o male – ha notato Fabris – ci chiediamo in realtà quali siano le conseguenze della nostra comunicazione e qual è la responsabilità insita nella nostra attività comunicativa. Il punto focale dell’etica della comunicazione è la relazione che la comunicazione crea».
Con il web la comunicazione è aumentata a dismisura: «Non dobbiamo comunicare tutto. Anche l’insulto è infatti comunicazione». Soprattutto gli “addetti ai lavori”, giornalisti e professionisti in primis, sentono il bisogno di una regolamentazione. Ma questa deve essere un’autoregolamentazione: «Sono i comunicatori che decidono cosa si deve comunicare e cosa no. Questa si chiama deontologia». Perché questo funzioni bisogna che sia prevista un’autorità riconosciuta che possa comminare sanzioni.
Questo è possibile all’interno di un ente come l’Ordine dei Giornalisti, ma diventa difficile per i comunicatori politici o d’impresa, privi di un organismo in grado di applicare la deontologia. Uno scenario addirittura utopico per chi comunica in una rete decentrata come il web: «Ogni tanto salta fuori l’idea dell’ONU come autorità alla guida di Internet, ma c’è sempre il terrore della nascita di un “Grande Fratello” in grado di controllare i flussi comunicativi». In rete ci sono poche regole e ancor meno controllori: la legge può essere applicata dentro alcuni “giardini”, come siti e app, ma è sempre facile aggirarla semplicemente cambiando identità.
Dove le regole non possono arrivare, deve arrivare l’etica: «Essa non gioca nella relazione tra trasgressione e punizione, ma si innesta nell’individuo. Possiamo individuare un’etica per Internet, che affronti i problemi strutturali della Rete, e un’etica in Internet, che si richiami ai comportamenti concreti e alla nostra responsabilità effettiva».
Un’etica che non può tralasciare la dimensione dell’ascolto e del dialogo, come ci ha insegnato Papa Francesco: «Il Papa è un grandissimo ascoltatore e un grande comunicatore. La sua è una comunicazione performativa: realizza ciò che comunica».
Come rendere pienamente umani i media digitali? «Papa Francesco stesso ci dice che tutti i mezzi di comunicazione, come le nuove tecnologie, devono e possono essere usati bene. La comunicazione vera è quella che non spezza le relazioni. Una comunicazione autentica è quella che se dice dei “no” lascia comunque la porta aperta, esercitando la virtù della misericordia».
Il discernimento, per Fabris, è facile: «È buona la comunicazione feconda di relazione. Ciò che le interrompe è invece morte».